In occasione della seconda mostra internazionale d’arte coloniale del 1934 a Napoli, il Commissario artistico e critico d’arte Michele Biancale formula la prima definizione critica del carattere dell’arte coloniale di cui la mostra vuol essere veicolo di promozione.
E’ in questa occasione che si delinea la prima separazione concettuale fra l’Orientalismo “di matrice romantico-risorgimentale” e la nuova arte coloniale, “che per sua natura e fattura si qualifica secondo Biancale come arte “eroica”.
Il Critico Michele Biancale:
"Le difficoltà di varia natura degli artisti di recarsi in colonia e ispirarsi direttamente ai motivi di terre differenti dalla nostra, potevano generare il pericolo paggiore per la mostra, che è quello di raccogliere opere di “maniera”, composte nello studio, da artisti i quali non sono forniti di fantasia tale, come grandi quattrocentisti veneti i quali seppero creare con null’altro che la loro potenza fantastica, un Oriente veneziano, da immaginare una colonia che essi non hanno visto”.
I pittori le opere e i pittori ospitati sono colonialisti quasi d’istinto, vissuto a lungo in Africa dove hanno operato abbondantemente.
La qualità della loro arte, sono il primo a riconoscerlo, non è tale da soddisfarci compiutamente – non mi riferisco naturalmente a tutti – pure è sempre da preferire un mediocre pittore che ha operato in colonia ad un mediocre artista che non c’è stato".
Definiti i contorni e la specificità dell’arte coloniale e stabilita definitivamente la distinzione dal filone orientalista ottocentesco, di cui senz’altro sente la suggestione ma dal quale è oltremodo lontana, le opere “coloniali” possono essere analizzate e valutate nella loro caratteristica fondamentale che è quella di riprendere la realtà africana, e non di interpretarla. Non si tratta solo di composizioni sull’epopea coloniale della conquista, ma soprattutto di immagini attraverso le quali si era inteso veicolare impressioni, situazioni, realtà ambientali e sociali di terre che si voleva far rientrare con naturalezza nella quotidianità italiana.
A differenza dell’Orientalismo, cresciuto nel tessuto romantico ottocentesco, l’arte coloniale si fa portavoce di valori diversi, connessi inevitabilmente con quelli dello Stato italiano imperialista, laddove gli artisti orientalisti si muovevano nell’ambito di una visione dell’Oriente – a cui l’Africa era associata – fascinosa ed estetizzante, un mondo incantato dove ricercare nuovi miti. Una lettura dell’Oriente, quella degli orientalisti, intrigante ed esotica, nella quale la cultura occidentale si sovrapponeva e utilizzava quelle locali, dettando e ubbidendo nello stesso tempo ad una moda nata dall’esigenza tipicamente romantica di creare un immaginario collettivo sui luoghi visitati dai viaggiatori sette e ottocenteschi. In questa scia operano ancora, nei primi decenni del XX secolo, artisti come Valeri, Mariani, Biseo, Valli; nelle loro opere emerge, infatti, il dato letterario e di fantasia, la visione colta dell’oriente.
Nell’Ottocento il viaggio si era trasformato in esplorazione, ovvero in ricerca diretta delle diversità dei luoghi e delle culture locali viste nell’ottica della supremazia occidentale, e l’esplorazione, come si sa, anticipa la volontà di sfruttamento delle terre africane e mediorientali, ora meta di conquista piuttosto che di viaggio, di appropriazione piuttosto che di scoperta, alla base e al servizio della politica colonialista occidentale
In tal modo si definisce un altro dei caratteri salienti della pittura coloniale, quello di essere reportage storico al fianco della fotografia, la quale assurge al contesto del colonialismo a una posizione di primo piano. Alla fotografia viene delegata la ripresa fedele delle esplorazioni, dei combattimenti e delle conquiste coloniali; grafica, pittura e scultura sono chiamate invece a fornire dei territori conquistati un’immagine più soft e accattivante, mediata dall’interpretazione e dalla materialitá delle tecniche, dei vasti ed affascinanti paesaggi africani, delle vivaci ambientazioni cittadine, delle usanze dei popoli e delle loro caratteristiche somatiche e di costume.
domenica 28 maggio 2006
Dall'orientalismo italiano all'arte coloniale
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....praticamente la stessa cosa che succedeva nella russia Stalinista , in cui non vi era certamente una pittura coloniale ma bensì una acuta volonta di raccontare il nuovo realismo socialista "il braccio che forgia l'acciaio" attraverso le arti esludendo in maniera tassativa (cioè vennero cacciati costretti a lasciare la patria) tutti i movimenti di arte "astratta" il grandissimo Malevic ed il suo suprematismo ed altri, tantevvero che una enorme raccolta di astrattismo russo è stata scovata da Sgarbi in uno scantinato afgano...ricapitolando sia l' impero sovietico che l'impero occidentale con tempi e modalità differenti usavano l'arte per una propria propaganda come attualmente il regime consumistico fà con lo schermo televisivo e spesso anche con l'arte (al punto che quest'ultima e tuttoggi spesso solo pubblicità), tutti i regimi rifiutano l'unica forma di viaggio o di racconto di un viaggio che esiste in pittura e in arte e cioè il viaggio fuori da sè dal proprio tempo e dalla propria realtà per crearne una nuova .....matteo
RispondiEliminan.b. :(a proposito di viaggio quello di venerdì sera in bici completamente ubriaco è stato bellissimo ...amo i viaggi corti il breve spostamento l'assenza di sicurezza il sentirmi una pappamolla in bilico mentre odio i viaggi lunghi in pompamagna e i carri allegorici qualunque essi siano)
Grazie Matteo
RispondiEliminaleggere l'intero blog, pretty good
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