venerdì 3 febbraio 2006

Racconti bignè

Racconti bignè

“Non è facile essere un accendino!” - ripeteva tutte le volte che poteva ripeterlo. Lo ripeteva ai suoi colleghi, ai compagni di viaggio, a tutti quelli che prima o dopo gli avrebbero fatto compagnia, senza volerlo o senza saperlo in uno di quei viaggi che solo un accendino può fare: spille, tagliaunghie, pacchetti di sigarette, preservativi, telefonini, caramelle, deodoranti. Da qualche tempo lamentarsi era diventata un’abitudine per lui ed era proprio per questo suo insolito indignarsi che capivo che forse era già…un po’ stanco? “Riuscite anche soltanto per un momento ad immaginarla la nostra condizione?” - ripeteva - e poi, sempre con l’enfasi di un sopravvissuto raccontava d’un fiato quello che gli era capitato su di un tavolo da gioco durante una bisca, o nella mensa dei ferrovieri, sopra la macchina dei caffè. Grande raccontatore, lui; ascoltarlo era un piacere. Raccontava dei profumi nauseabondi dentro le borsette delle donne, fra cremette, deodoranti, cosmetici, e poi dei suoi viaggi scomodi, schiacciato sotto una montagna di compact disk nel portaoggetti di un’automobile, soffocato fra pelli di daino, spugnette pulivetro, custodie d’occhiali da sole, o peggio, immobilizzato dalle aderenze di certi blue jeans, costretto a resistere in apnea per ore dentro una tasca strettissima magari con la faccia affondata in un kleenex usato e punzecchiato alle spalle da un mazzo di chiavi. “Non è facile essere un accendino” - continuava a ripetere - E poi me lo ricordo quando cercava di commuovere tutti con quella vecchia storia di quel suo amico ricaricabile, che finì dimenticato sulla sponda di un biliardo dopo una serata polverosa e fumosissima. “Bella fine” – ripeteva sempre e sempre a voce alta, per farsi sentire: – “dopo una vita di doveri, senza neppure un minimo di riconoscenza né di rimorso, ti abbandonano nelle mani del primo che capita, come se nel passar di mano in mano risiedessero la nostra sorte ed il nostro destino. Adesso che è passato del tempo riconosco che non aveva tutti i torti, era solo un accendino più sincero degli altri e…forse, se quella sera fosse stata meno ventosa e si fosse acceso, non dico al primo, ma anche solo al quinto tentativo, chissà…forse sarebbe ancora con noi. Col passare dei giorni ti accorgi che la vita di un accendino è davvero ciò che di più imprevedibile esiste al mondo. Di colpo puoi passare dalle mani di un ragazzino a quelle di un delinquente, da quelle di un taxista notturno a quelle di un ubriacone, oppure, come successe ad un mio amico elettronico che è ancora sotto shock, finire nelle mani di un boja per accendere l’ultima sigaretta di un condannato a morte. Il fatto è che un accendino non ha certezze di nessun tipo, può percorrere chilometri, migliaia di chilometri in un solo giorno: un usa e getta di cinque anni - uno di quelli che la sua fiammella, magari debole, balbuziente se volete, ma l’aveva sempre fatta - cadendo dalla tasca interna di una giacca, s’infilò neanche a farlo a posta nella grata d’aerazione di un charter privato diretto a Tokyo. Passammo mesi chiedendoci dove fosse finito: qualcuno assicura che abbia esaurito il suo gas accendendo incensi e candeline profumate in un tempio scintoista, ma ancora oggi girano voci secondo le quali sarebbe ancora lì, incastrato in quella fessura, dove nessuno ha mai guardato. Li capisco quelli che adesso stanno pensando: “è troppo comodo parlare dall’alto di un rassicurante tavolo di cristallo!”Li capisco, perchè….beh….non posso negare che…...insomma……sono perfettamente consapevole della mia situazione, cosa credono! Cosciente, ahimè di quanto sia privilegiata la mia vita da salotto se paragonata a quella di tanti miei colleghi!…. Uno come me, in effetti, ha molte meno probabilità di finire catapultato in Giappone, è verissimo, ma anche la mia vita sedentaria comporta dei rischi, che molti neanche sospettano: potrei per esempio capitare un bel giorno nelle mani oliose o infarinate di una massaia impazzita che ha finito i fiammiferi da cucina e…insomma, se proprio volete che ve lo dica, anche la vita di un accendino da tavolo come sono io non ha niente d’entusiasmante. Anzi. Una volta sono rimasto chiuso quattro ore nel sacco di nylon di due ladruncoli d’appartamento e se non fosse stato per il gesto di riconoscenza di un vecchio candeliere compagno di vetrina ai tempi del mio primo argentiere - che riuscì a forare il sacco e a farmi uscire - di certo ora non sarei qui a raccontarvelo. Ricordo di essermela cavata con un paio d’ammaccature, ma lui, il povero, finì parcheggiato in un sottoscala nella bottega di un antiquario, proprio lui, che odiava la polvere e abituato com’era a brillare sotto i faretti delle vetrine del centro…non deve essere stato per niente facile per lui: gli cambiarono epoca, nome e prezzo. Un vero trauma. Non capisco da dove arrivi all’improvviso tutta questa mia voglia di parlare, io che di solito mi perdo nelle riflessioni più contorte aiutato dai silenzi del salotto, sempre vuoto. La verità…la verità è...che da quando se n’è andata la scacchiera d’alabastro, questo tavolo da fumo non è più lo stesso: non so, è come se...se ne fossero andati via tanti amici e tutti insieme in un colpo solo. Loro sì che erano rispettati! Spolverati tutti i fine settimana, pedone dopo pedone, sollevati, lucidati e rimessi in linea uno per uno: questo è il rispetto, amici miei; ci vuole tanto! Anche se i paradisi non ci sono per nessuno! L’altra notte l’alfiere dei bianchi, prima del trasferimento in massa sul tavolo di noce dello studiolo, mi confidò che in quattro anni nessuno aveva mai giocato con lui, nessuno, neanche una volta. Per questo sentiva quel trasferimento come imminente...se lo aspettava: secondo lui non era necessario che la bambina s’ingoiasse un pedone perché la madre decidesse di cambiar loro di posto. “Ci mettono in mostra per apparire più intelligenti - diceva - ma poi accendono il televisore e ci dimenticano”. Anche lui aveva ragione, è un po’ il destino di chi è stato incluso in una lista nozze: passerai tutto il tuo tempo senza sapere mai se davvero ti hanno scelto per amore o per un’infatuazione passeggera; E’ vero che hai due mesi di splendore assoluto, sempre al centro del tavolo: cure, attenzioni, anche eccessive, ma poi tutto finisce di colpo e diventi….soprammobile. Non c’è niente di peggio che essere trattato da soprammobile. Li ricordo bene i miei primi tempi: tutti facevano un gran parlare di me e poi nessuno capiva da dove usciva fuori la fiamma! E tuttora si domandano: ma è argento vero o è solo placcato? - beh, e anche se fosse? Che ci sarebbe di male?! È avorio o madreperla? Avorio o madreperla? avorio o madreperla? E se invece fosse plastica? Fottuta e maledettissima plastica? Cambierebbe qualcosa? Certo che cambierebbe qualcosa, cambierebbe tutto. E forse a quest’ora anch’io sarei in giro per il mondo, magari in tasca di un non fumatore, ma almeno in giro per il mondo, piuttosto che star qui, vicino a due bicchieri da whisky ubriachi sette giorni su sette, e ad un portaritratti, che non spiccica bottone, mi dà le spalle da due settimane e non mi ha ancora chiesto scusa! Non è facile essere un accendino. Mio padre aveva ragione.

Nessun commento:

Posta un commento